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Solo l’azione diretta di massa vince

Solo l’azione diretta di massa vince

Seguendo giorno per giorno le notizie sul movimento francese dei Giubbotti Gialli credo che, come me, parecchi persone abbiano ricordato una esternazione di Beppe Grillo. Costui affermò che il potere avrebbe dovuto ringraziarlo per aver fondato il Movimento Cinque Stelle in quanto, così facendo, avrebbe incanalato la rabbia della gente all’interno delle regole del gioco democratico, impedendo che questa si esprimesse tramite la protesta di piazza e l’azione diretta. A ricordarci questa esternazione del comico genovese e leader (ancora?) del Movimento Pentastellato sono in questi giorni (scrivo queste righe sabato 15 dicembre 2018) un po’ tutti i parlamentari del governo, poiché anche la Lega si sta adesso attribuendo un tale merito d’onore nei confronti del potere.

A dir la verità, nei loro panni avrei preferito tacere, dal momento che la strategia governativa portata avanti negli ultimi mesi sta evidentemente fallendo, con ogni giorno una nuova calata di braghe nei confronti di quei “poteri forti” che i suddetti parlamentari si erano impegnati a combattere senza se e senza ma; questo accade poi nello stesso tempo in cui l’azione diretta di un movimento popolare sta ottenendo – pur non accontentandosene e proseguendo nella sua strategia di piazza – dieci volte di più di quanto avesse promesso l’attuale governo, anche prima delle suddette calate di braghe. Il tutto ammesso e non concesso che almeno una qualcosina di buono per il “popolo” – qualunque cosa si voglia intendere con questo termine – l’attuale governo alla fine la faccia.

Evidentemente, però, il punto di riferimento servile dei movimenti populisti non è affatto il “popolo” ma sono proprio i “poteri forti” che, a parole, dicono di voler combattere – altrimenti non si spiegherebbero esternazioni come quelle di cui sopra. In effetti, il senso fattuale dei movimenti populisti in tutto il mondo, di là delle chiacchiere ideologiche, è esattamente questo: incanalare ed imbrigliare le rabbie popolari con un livello di coscienza ancora basso contro le politiche di macelleria sociale portate avanti dalle gerarchie politiche ed economiche, in direzione di uno sbocco di “presa del potere”, di delega cioè a rappresentanti istituzionali per un “cambiamento” che, ovviamente, non verrà. Questa situazione ha anche il risultato collaterale di demotivare e far rifluire nel privato moltissimi dei militanti in buona fede che sono stati inizialmente la spina dorsale del movimento, che solo in piccola parte riusciranno a superare lo scoramento e ad impegnarsi in movimenti emancipativi reali.

Tra questi, tantissimi provenienti dalla sinistra che, dopo essersi scottati con quest’esperienza, raramente torneranno indietro. Altro aspetto dei movimenti populisti, infatti, è quello di nascere come movimenti in apparenza con caratteri di sinistra riformista o addirittura radicale (vi ricordate i “Comunisti Padani” di cui era leader l’ineffabile Matteo Salvini?), il che fa cadere nella loro rete molti militanti in buona fede i quali, ancora una volta, raramente dopo la disillusione torneranno nei movimenti antagonisti reali. Questo se non fanno proprio il salto della quaglia e passano armi e bagagli ad ideologie destrorse, come il già ricordato frequentatore dei centri sociali occupati milanesi Matteo Salvini.

Da questo punto di vista, i movimenti populisti hanno raccolto l’eredità non solo dei movimenti nazifascisti, ma anche dei movimenti socialdemocratici e “comunisti” dei secoli scorsi. Come si è potuto vedere con il caso francese odierno e qualche anno fa negli USA con Occupy Wall Street, di fronte all’ampiezza della rivolta popolare i governi hanno effettuato, invece dell’ennesima operazione di macelleria sociale, un minimo di redistribuzione della ricchezza sociale. Certo, alcuni aspetti delle rivendicazioni di questi movimenti ci possono sembrare minimali, altre anche ambigue, ma resta il fatto che essi hanno ottenuto almeno qualcosa in una circostanza storica in cui il potere non solo non vuole concedere né molto né poco, ma vuole togliere, e tanto, per concedere tutto ad una ristrettissima minoranza.

Gli esempi potrebbero continuare e giungere anche a livelli di lotte locali: il succo sarebbe che ad ottenere qualcosa è solo l’azione diretta di massa. Il livello del politico se ne attribuisce però il merito, creando così l’illusione che tali conquiste siano possibili con la semplice delega al movimento politico d’opposizione di turno, purché questi giunga al governo.

Ora, finché sono esistiti movimenti di opposizione reali e combattivi di grande portata, i movimenti socialdemocratici e “comunisti” dei secoli scorsi giunti al governo hanno, nei paesi occidentali, effettuato politiche di redistribuzione della ricchezza, autorizzati in ciò dalle classi dominanti che cedevano qualcosa per tamponare la forza crescente delle classi dominate che erano riuscite a sconfiggere armi alla mano il nazifascismo. In realtà, a dirla tutta, nei “trent’anni gloriosi” dello “stato sociale”, data la necessità strutturale da parte delle politiche keynesiane di effettuare processi di redistribuzione della ricchezza a favore delle classi meno abbienti, era abbastanza indifferente se al governo ci fosse la destra o la “sinistra” e molte conquiste sono avvenute con la “sinistra” all’opposizione.

Comunque non appena, alla fine dei “trent’anni gloriosi”, la forza di questi movimenti è venuta scemando, i “governi di sinistra” hanno fatto a gara nelle politiche di macelleria sociale con quelli di destra, pur promettendo all’atto delle campagne elettorali giustizia sociale e politiche del tutto differenti, aggregando così intorno a sé tante compagne e compagni in buona fede, vittime poi dello scoramento e del “riflusso” al momento della disillusione. Questo nella migliore delle ipotesi: chi restava passava armi e bagagli ideologicamente dalla parte del nemico, abbracciando il neoliberismo imperante (talvolta con discreta faccia di bronzo: si pensi al PD che presentava il Job’s Act come una legge di “sinistra” ed a favore dei lavoratori…). Il che non è certo una novità, anzi: tutti abbiamo presente come tali movimenti di “sinistra” abbiano fatto sorgere nei primi anni del Novecento dal loro seno, in funzione antiproletaria, i movimenti nazifascisti.

Attualmente il governo italiano sta seguendo il copione dei primi governi di “sinistra” del post-’92: fare le stesse politiche “neo”liberiste dei governi precedenti, invocando mille scuse per la prosecuzione di un presente identico al passato e lasciando intravedere – ma senza mai concedere nulla in concreto – un possibile futuro diverso. Il populismo, quindi, è cresciuto sulla perdita di credibilità della “sinistra” e sul suo essere percepita – giustamente – come sostanzialmente identica alla destra, raccogliendone le funzioni di depotenziamento dell’azione politica diretta di tutti coloro che subiscono ogni giorno e sempre di più i processi di impoverimento economico e di subordinazione politica. Insomma, se i movimenti populisti non fossero esistiti, il potere avrebbe dovuto inventarli, dato l’indubbio vantaggio che gli apporta la loro esistenza.

Enrico Voccia

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